La formazione riflessiva nei contesti lavorativi: metodi, strumenti, competenze

Introduzione

In questi tempi di rapidi mutamenti, anche sconvolgenti, che si verificano nella nostra società, abbiamo pensato di sottoporre all’ attenzione dei lettori un’analisi sul tema della riflessività intesa come specifica modalità di conoscenza e di apprendimento che si realizza in interazione tra contesto (sociale/lavorativo) dell’azione formativa e caratteristiche individuali di chi è in formazione.

La riflessività può essere descritta come una manifestazione / specificazione   della competenza strategica – apprendere ad apprendere – in cui interagiscono dimensioni diverse della personalità quali quella biografica, cognitiva, sociale, affettiva e che interagendo promuovono forme, schemi, significati che attribuiscono senso ai processi di apprendimento e ne orientano l’azione, generando nuove forme di apprendimento autoregolato, pro attivo, riflessivo.

L’articolo presenta alcuni orientamenti sulla riflessività e sulla relazionalità umana nella centralità dell’esperienza organizzativa.

Le considerazioni svolte si basano sulla forte convergenza tra quanto sostiene la letteratura contemporanea sulle politiche di sviluppo della competitività delle organizzazioni con i più recenti orientamenti espressi dagli organismi europei – in particolare Skill Strategy (OECD), Europe 2020 e la flagship iniziative An Agenda on New Skill and Jobs – laddove si evidenzia come la crescita economica  possa essere stimolata attraverso l’incremento della produttività e della corrispondente capacità delle persone e delle organizzazioni di stimolare l’innesto di forme innovative e flessibili di organizzazione del lavoro con nuovi modelli di formazione centrati sulle persone e sulle competenze. Ciò a partire dal riconoscere le competenze come risorse chiave per lo sviluppo organizzativo soprattutto se si considera la loro rapida obsolescenza, fattore spesso alla base dello spreco di risorse. Questi dati sono confermati dalle statistiche nazionali ed europee dalle quali emerge che i sistemi produttivi più competitivi hanno operato una allocazione strategica delle competenze in possesso dei lavoratori stimolando esperienze pervasive di apprendimento organizzativo. A tale proposito si evidenzia come soprattutto i metodi della formazione riflessiva creino condizioni positive per la ri-generazione e ri-combinazione di skill innovative, argomento sviluppato nelle pagine seguenti.

 

  1. Caratteristiche della formazione riflessiva

 

I grandi teoremi del determinismo e della prevedibilità sono oggi in profonda crisi (Beck). I rapidi mutamenti dei mercati del lavoro e della società determinano il superamento del razionalismo tipico delle società moderne e aprono la via alla configurazione (costituzione) della società postmoderna, caratterizzata da una razionalità sostanziale, dove il soggetto è protagonista e si muove sulla base di spinte autorealizzative quali fattori imprescindibili di sviluppo umano.

Questo mutamento di prospettiva ha valorizzato la riflesssività intesa sia come capacità del soggetto umano di sviluppare la consapevolezza di se stessi sia come capacità di coniugare il ruolo rivestito in una organizzazione con la complessità della multiappartenenza delle persone nei contesti di vita sul lavoro e al di fuori di esso e di inserirla in una dimensione integrata di vita personale, economica, sociale e organizzativa.

La riflessività si presenta come una funzione propositiva che supera lo stato di fatto di una conoscenza organizzativa predefinita a cui la formazione deve conformarsi. L’esperienza organizzativa contemporanea si caratterizza per l’enfasi e il passaggio dal contenuto formativo al processo di formazione.

Ogni attore, ogni singolo attore è chiamato a riprogettare la propria identità di ruolo e questa dinamicità implica la creazione di una condizione riflessiva che attiva processi di regolazione di se stessi in interazione con l’ambiente in cui agisce.

Nell’esperienza organizzativa odierna si è verificata una riduzione progressiva della prevedibilità dei cambiamenti e dei fenomeni che li rendono possibili.

Si è assistito, come ricorda Giddens, al riconoscimento della rilevanza strategica della riflessività come fattore indispensabile per comprendere i mutamenti in atto.

La società deve costantemente riflettere su se stessa per potere operare efficacemente in un contesto in rapida e costante evoluzione. Di conseguenza la società ha assunto caratteristiche di riflessività intesa come capacità da parte del pensiero di retroagire continuamente dando vita al circolo virtuoso azione – conoscenza/apprendimento -azione.

La centralità sociale della conoscenza spiega adeguatamente perché uno dei temi centrali del dibattito culturale è quello relativo all’apprendimento e al possesso dei mezzi di apprendimento.

Tre fattori, secondo Quaglino, caratterizzano i sistemi sociali, organizzativi e formativi della società contemporanea o della post-modernità, il primo fattore è la condizione di permanente cambiamento all’insegna dell’incertezza; ogni sapere consolidato ha vita sempre più breve.

Il secondo fattore è costituito dalla perdita di ancoraggio di alcune categorie tradizionali di riferimento organizzativo quali, ad esempio, quelle di mestiere, ruolo, mansione, concetti che si trasferiscono e danno pregnanza al costrutto onnicomprensivo di competenza.

Il terzo fattore rimanda alla considerazione che gli stessi soggetti si trovano a fronteggiare la complessità in termini di discontinuità e ciò richiede percorsi di apprendimento permanente per far fronte alla evoluzione delle competenze con la creazione di apprendimenti lifelong.

Questi sono i fattori all’origine di apprendimenti significativi che producono nelle persone cambiamenti non generici ma riflessivi e trasformativi.

Sono queste le motivazioni alla base dello sviluppo della riflessività nella formazione e della formazione alla riflessività.

Sulla   base di queste  riflessioni si supera l’interpretazione della dimensione contenutistica della formazione a vantaggio dell’apprendimento inteso come possibilità di cambiamento che si realizza attraverso processi di scoperta, di riflessione, di sviluppo di competenze; d’altra parte le organizzazioni sono alle prese con problemi inediti di mercato, di percorsi di innovazione profonda, anche indotta dal ruolo pervasivo delle tecnologie e dell’IA , di flessibilità mentale ed organizzativa  che richiedono  una notevole attitudine al cambiamento .

Questo stato di fatto delinea uno spostamento di centralità d’azione che si misura con la potenzialità del soggetto di dirigere il proprio processo di apprendimento; ciò implica una concezione della pratica formativa che trova nella riflessività il costrutto principale della competenza strategica ossia dell’apprendere ad apprendere.

 

  1. Metodi basati sulla formazione riflessiva

 

In questo paragrafo ci si propone di presentare alcune metodologie formative che mettono al centro dell’azione formativa il soggetto con la sua dimensione relazionale e progettuale pro attiva.

Il nuovo modo di concepire il tempo della formazione si intreccia con l’intero ciclo vitale. Le categorie essenziali del fare formazione riguardano, come abbiamo visto, la centralità del soggetto, la pervasività della formazione nei diversi luoghi, il bisogno di attribuzione di significato, la competenza come sapere in azione, l’apprendimento come processo segnato dalle biografie individuali, l’importanza delle esperienze di vita come risorse per la formazione riflessiva e per lo sviluppo di metodologie basate sulla riflessività.

Appare sempre più cruciale lo sviluppo delle competenze orientate a gestire l’apprendimento come pratica continua nella dimensione lifelong, trasferibile nei vari sistemi sociali e produttivi e tali da configurarsi come competenza strategica e che l’Alberici definisce in termini di metacompetenza o competenza di apprendere ad apprendere. Questa interpretazione del concetto di metacompetenza è di natura strettamente costruttivistica e tende ad avvicinarsi al concetto di competenza strategica ed è la direttrice fondamentale che caratterizzano le metodologie basate sulla riflessività.

Si tratta evidentemente di competenze che hanno la dimensione della trasversalità, sono competenze plurime sempre più complesse messe in gioco in diverse situazioni professionali (cognitive, di efficacia personale, di realizzazione e operative, di assistenza, manageriali), in continuo aggiornamento e arricchimento fondate su procedure, relazioni consapevoli che coinvolgono il lavoro, la vita delle persone e i relativi sistemi valoriali di riferimento.

L’accento di conseguenza si sposta dallo sviluppo delle varianti collegate al sapere alla ricerca delle competenze orientate a gestire l’apprendimento come pratica continua negli ambienti di vita e di lavoro degli individui.

I concetti essenziali diventano i concetti di accoglienza, riflessività, responsabilità, orientamento, conciliazione.

Le metodologie formative riflessive mettono al centro il soggetto con la sua capacità progettuale e la sua dimensione relazionale. Tali metodologie comprendono i metodi narrativi ma anche altre metodologie attive e progettuali quali la formazione alle metacompetenze o competenze strategiche, il bilancio di competenze, l’empowerment, la narrazione, il coaching, il mentoring, il learning tour, le comunità di pratica.

La formazione lifelong tende così a configurarsi come una formazione organica alla crescita delle organizzazioni e all’innalzamento complessivo dei livelli di responsabilità e di competenza.

 

  1. Quali competenze per il formatore?

La formazione aziendale si realizza oggi, come abbiamo potuto analizzare nei paragrafi precedenti, in un sistema che si regge su un equilibrio tra una pluralità di soggetti che operano in ambienti turbolenti e competitivi. Alcuni di questi asset sono strategici e tra essi individuiamo: la trasformazione digitale e l’IA, il pluralismo degli attori e dei contesti, forme articolate e complesse di intelligenza collettiva.

È quest’ultimo elemento che consente di affrontare meglio le situazioni impreviste poiché si avvale della cooperazione collettiva attiva.

In questo contesto conta ancora di più che in passato la formazione in ambienti formativi sul campo che utilizzano attività riflessive che sono facilitate da formatori in presenza, sui luoghi di lavoro, nella formazione outdoor, in comunità di pratiche.

Si tratta di utilizzare modelli evoluti di formazione riflessiva basati sulla consapevolezza, sulla padronanza di sé, sulla fiducia e sul lavoro in team.

Il principio di efficacia di queste metodologie si basa sulla considerazione che la persona compie un’esperienza che proprio non avrebbe pensato possibile per sé. Ciò fa sperimentare la sensazione che molte proprie risorse sono latenti, tacite, implicite e possono essere scoperte, esplicitate ed utilizzate passando dal proprio impossibile al proprio possibile (Bruscaglioni).

In questo scenario si pone al centro dei processi organizzativi lo sviluppo della capacità di apprendere ad apprendere che acquisisce nelle pratiche formative un dominio operativo che crea le condizioni per quel salto di qualità che dà origine alla competenza esperta.

La formazione è infatti sempre più “customer oriented” ossia progettata in modo da tenere in debito conto le esigenze espresse da specifici target (gruppi professionali, funzionali, per raggruppamenti aziendali, nei diversi contesti e luoghi di lavoro).

È proprio grazie a questa visione che la formazione riesce a orientarsi verso il “purpose” della committenza e a rispondere sia agli obiettivi dell’impresa che a quelli di crescita delle persone e dei team.

In questo scenario, lo sviluppo di competenze è considerato un tassello fondante la catena del valore delle aziende, delle istituzioni, dei territori con cui l’azienda interloquisce ed opera.

Nell’epoca dei rapidi e profondi cambiamenti, le persone devono essere stimolate ad acquisire e a consolidare uno spiccato e consapevole orientamento    all’apprendimento continuo e adeguato di competenze.

Apprendere e crescere significa, in questo senso, alimentare il proprio ventaglio di possibilità e raggiungere una nuova configurazione in cui la precedente risulta insoddisfacente. È proprio questo aspetto che rende possibile il perseguimento di un nuovo equilibrio superando la stasi che spesso si verifica nella persona in formazione tra la ricerca e il consolidamento della stabilità e il perseguimento di un cambiamento.

In conclusione nell’era della post-modernità il presidio della capacità di apprendere ad apprendere costituisce un fattore chiave alla base dello sviluppo e dei vantaggi della competitività aziendale.

Questa consapevolezza diventa il motore di un processo di cambiamento. È per questa ragione che alla base delle competenze dei formatori ci sono valori come l’autonomia, la presenza e la valorizzazione di soddisfacenti interazioni interpersonali, l’organizzazione di comunità di apprendimento, in grado di sviluppare processi lavorativi efficaci, efficienti e personalizzati. In questo contesto non c’è un solo ruolo di formatore. I formatori continuano ad esserci, ma ci sono anche i coach, i facilitatori, gli sviluppatori e gestori di tecnologie e piattaforme evolute e molti altri ruoli ancora.

Il formatore, oggi, è principalmente colui che progetta un ambiente di apprendimento entro il quale le persone possono trovare, anche in autonomia o con il supporto e la guida delle figure professionali di cui abbiamo parlato, percorsi di apprendimento rispondenti alle loro esigenze e ai loro bisogni.